Cassazione: la smart card privata si può usare anche al bar

Va assolto il gestore di un pub che trasmette in pubblico una partita di calcio criptata. Anche se il gestore stesso è titolare di un contratto a uso domestico e non invece di uno di quelli che autorizzano la visione nei locali pubblici. Lo precisa la Cassazione, Terza sezione penale, con la sentenza 7051 del 23 febbraio. Nonostante il parere contrario degli avvocati delle «Reti televisive italiane» – la società di produzione televisiva per i canali tv del gruppo Mediaset – la Cassazione ha assolto, con la formula «perché il fatto non costituisce reato», il titolare di un pub che aveva usato la sua smart card per uso domestico Mediaset Premium, anziché la club card dello stesso circuito, per far vedere agli avventori del suo locale una partita criptata (Inter-Juventus, del 2 febbraio 2006).
Ad avviso della Corte, la circostanza che il gestore non avesse pubblicizzato l’appuntamento sportivo, lo manda indenne da responsabilità penale, per violazione delle norme a tutela del copyright dei diritti tv, perché è assente la finalità del lucro. «Non vi è trasmissione delle immagini televisive – spiegano i giudici – nella mera condotta di chi associa a se stesso altre persone nella fruizione dello spettacolo televisivo, a prescindere dalla liceità o meno di ciò sul piano contrattuale e quindi civilistico; ciò che si verifica di norma quando manca il fine di lucro».

Nel caso in questione, aggiunge la Cassazione, «la diffusione in un pub di un evento sportivo trasmesso dalla rete televisiva con accesso condizionato non risultava essere funzionale a far confluire nel locale un maggior numero di persone attratte dalla possibilità di seguire l’evento sportivo gratuitamente». E questo perché, come risultava dalla sentenza della Corte d’appello che peraltro aveva invece condannato (verdetto annullato dalla Cassazione senza rinvio) il gestore a 4 mesi di reclusione e a 1.800 euro di multa, non era stata pubblicizzata la diffusione nel pub della partita.

La Cassazione sottolinea anche che al momento dell’accertamento della condotta contestata all’imputato erano presenti nel pub pochissimi avventori ai quali nessun sovrapprezzo era stato richiesto per la possibilità di seguire l’evento calcistico trasmesso dall’emittente televisiva. La sentenza comunque ricorda anche che resta reato la diffusione del programma criptato, al di fuori delle modalità consentite dal contratto di stipula, in tutti i casi in cui è invece presente la finalità di trarvi un guadagno.

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