La Stampa: “Frequenze tv, un regalo da 3 miliardi”

Aprire il mercato del digitale terrestre ad un sistema davvero plurale e garantire allo Stato un incasso di quasi 3 miliardi di euro che permetterebbero di sgravare alcuni dei tagli più contestati della manovra. Tutto questo se il Governo non avesse deciso di fatto di regalare – accogliendo le direttive dell’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – le frequenze tv nazionali che la stessa Autorità ha individuato nel piano nazionale di assegnazione (300/10/CONS). 

In totale sono 6 frequenze, cinque utilizzabili sul sistema digitale (Dvb-t) e una per la tv mobile (Dvb-h, tablet o smartphone, ad esempio), per la creazione di altrettante reti equivalenti. Per tutte è previsto il cosiddetto “concorso di bellezza” (beauty contest), una procedura, che di fatto assegna le stesse non in base ad un’asta al rialzo, ma semplicemente gratis a quelle emittenti che si sono candidate al bando di concorso – pubblicato il 12 agosto scorso sul sito internet del Ministero – e che risulteranno più idonnee (più “belle” quindi) in base ad una serie di criteri che saranno valutati da un’apposita commissione ministeriale.

Un’operazione quindi, che non porterà neanche un euro nelle casse dello Stato, eppure le 6 frequenze sono valutate quasi un miliardo di euro e, se messe all’asta, potrebbero addirittura triplicare di valore. Il nodo però non è solo economico: sfogliando le pagine del disciplinare diffuso dal Ministero, si capisce perché da più parti la procedura viene accusata di favorire i soliti noti – Rai e Mediaset, per intenderci – alimentando così un sistema televisivo già fortemente monopolizzato. La commissione (tre esperti più un advisor) prevede infatti una valutazione a punti, basata su 3 aspetti: dipendenti, individui coperti dalle reti di diffusione e impianti digitali di trasmissione. Il punteggio più alto è assegnato alle aziende che presentano il livelli più alti di questi parametri.

In sostanza quindi, vince il più grosso, difficile infatti che le emittenti locali abbiano lo stesso numero di dipendenti o la stessa diffusione dei colossi nazionali. Non solo, due dei canali in palio, quelli tra l’altro con le frequenze migliori, sono già stati assegnati in base ai punteggi del disciplinare ai soliti noti: Rai e Mediaset appunto. Gli altri sono invece aperti a nuove aziende entranti nel mercato televisivo italiano, perché sono esclusi dalla loro assegnazione quegli operatori che hanno avuto, in passato, la disponibilità di due o più reti televisive nazionali in tecnica analogica.

Il Senatore Vincenzo Vita (Pd) e il portavoce di Articolo 21 Giuseppe Giulietti hanno proposto un emendamento alla manovra correttiva che sarà discussa in parlamento a partire dalla prossima settimana, per eliminare il beauty contest e assegnare le frequenze in base ad un’asta al rialzo che secondo i firmatari garantirebbe un tesoretto di 4 o 5 miliardi di euro. Il precedente c’è: nel maggio del 2000 il governo Dini modificò il sistema di assegnazione delle frequenze per i servizi Umts previsto dal Garante avviando di fatto un’asta che portò nelle casse dello stato la bellezza di 26.750 miliardi di lire. Una sponda alla proposta è arrivata anche da altri settori dell’opposizione: “Quelle frequenze sono un bene pubblico e devono essere messe all’asta – scrive Di Pietro sul suo blog – e gli incassi devono essere scalati dalla manovra in sostituzione dei tagli agli enti locali”. Appoggio è arrivato anche da Futuro e libertà per bocca di Carmelo Briguglio, vice presidente vicario dei deputati di Fli che ribadisce l’impegno “a non fare altri regali alle aziende di famiglia di Berlusconi a cui vorrebbero regalare nuove frequenze digitali”.

Se non dovesse andare in porto l’emendamento, il 6 settembre partirà la preselezione delle aziende candidate e nonostante il Ministero sottolinei nel bando che il concorso è frutto di un continuo confronto con l’Unione Europea (che tra l’altro ha imposto l’ingresso in gara di Sky), la procedura potrebbe essere oggetto di numerosi ricorsi ai tribunali amministrativi da parte delle emittenti locali escluse. E pensare che l’assegnazione delle frequenze è stata prevista per liberalizzare il mercato ed evitare (forse) di incorrere nelle pesanti sanzioni previste dalla procedura d’infrazione avviata nel 2006 dalla stessa Ue.

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