Donne celebri ritratte senza veli, corpi perfetti immortalati da grandi fotografi, racconti firmati da mostri sacri della letteratura mondiale. Questa la ricetta vincente di un intrepido giovanotto di Chicago, che a soli ventisette anni fonda l’azienda del coniglietto in frac, facendola diventare un impero mondiale. Il suo nome: Hugh M. Hefner.
A quasi sessant’anni dall’uscita del primo numero, che mostrava una prorompente Marilyn Monroe senza veli, PLAYBOY: L’IMPERO DEL NUDO, in onda su History (canale 407 di Sky) lunedì 10 dicembre alle 21:00 svela i segreti della rivista che ha rivoluzionato il comune senso del pudore. Scopriremo come Playboy abbia sfidato le convenzioni sociali sugli uomini, le donne, il sesso e abbia contribuito a modificare la nostra percezione dei diritti civili.
Ricco di filmati inediti, il documentario propone interviste a politici, imprenditori, intellettuali e personalità del mondo dello spettacolo: dal reverendo Jesse Jackson a Donald Trump, da Bill Cosby (I Robinson) a James Caan (Il Padrino). Senza dimenticare, naturalmente, Hugh Hefner.
Nato nel 1953, il mensile si rivolgeva ad un pubblico di giovani adulti e mescolava il nudo femminile del famoso paginone centrale ed immagini erotiche di attrici quali Jayne Mansfield, Raquel Welch o Bo Derek con vignette, saggi e racconti di scrittori del passato e contemporanei (Conan Doyle, Steinbeck o Bradbury). Il successo fu immediato e non si limitò alla carta stampata.
Playboy sbarcò in tv con diversi programmi di intrattenimento, come Playboy’s penthouse o Playboy after dark. Si tenevano nelle case di Hefner e vedevano la partecipazione di alcuni degli artisti di punta del panorama a stelle e strisce, tra cui Sammy Davis Jr, Jerry Lewis, Ray Charles e Nina Simone.
Hefner aprì diversi night club negli Stati Uniti e in Europa, da Chicago a Miami, da New Orleans a Londra, nonché un albergo-casinò ad Atlantic City. In questi locali le cameriere indossavano il costume da coniglietta che sarebbe presto diventato una delle icone sexy degli USA.
Numerose le polemiche. L’America reazionaria accusò Hefner di oscenità e pornografia e non accettò che, in un periodo di segregazione razziale, le trasmissioni e i locali targati Playboy fossero dei posti dove bianchi e neri erano perfettamente integrati. Il mondo femminista accusò (“un terribile errore” lo definisce la sociologa Camille Paglia) Playboy di proporre un’immagine della donna come oggetto, dimenticando il ruolo giocato dagli articoli del mensile a favore della liberazione sessuale e dell’omosessualità.